

FERRATA DELLE TRINCEE
LA SQUADRA E LE PAGELLE




GULY - VOTO 7.5
Lavora per la squadra. Organizza la spedizione e compie le riprese mentre e' appeso alla parete della montagna. Soffre un po' gli strapiombi e la parte "aerea" del percorso: ad un certo punto per lui diventa la Ferrata delle Biasteme quando appeso nel vuoto tira madonne ad ogni appiglio.
ANDREA - VOTO 8
Leader silenzioso del gruppo. Grande esperienza, sceglie il percorso ottimale, detta i tempi e da grande fiducia ai tre principianti. Insegna quando c'e' da insegnare ma senza mai eccedere. Mai in affanno se non a cena causa la "tempesta di wurstel" preparata da Milan.
MILAN - VOTO 7.5
Esperto storico del gruppo, mostra grande entusiasmo nelle trincee quando prende la pala e inizia a scavare alla ricerca di reperti bellici. Affronta la sua prima ferrata con superbia ma rimane indietro e soffre nei sentieri segno di preparazione atletica ancora indietro. Compie un errore strategico quando decide di puntare il tutto per tutto sui wurstel per la cena. Il suo piatto "tempesta di wurstel" nausea il gruppo. Azzeccata la scelta del vino.
NONNO - VOTO 6
Aggiuntsi all'ultimo alla spedizione, il Nonno fa da mascotte al gruppo, mantenendo alto il morale ricordando costantemente a tutti il rischio di morte da caduta o da assideramento. Abbandona sul piu' bello causa millantata distorsione alla caviglia.
IL RACCONTO
LA MAPPA
IL VIDEO
26/27 settembre 2013
Da un paio d’anni io e Milan pianificavamo un’escursione sulle Dolomiti sulle tracce delle trincee della Grande Guerra. Finalmente quest’estate riusciamo ad organizzarci. Verso luglio contatto un amico di famiglia di lunga data, Andrea, che so essere diventato un appasionato alpinista (CAI di Oderzo) che si offre di entusiasticamente di accompagnare noi due principianti. Come escursione propone la Ferrata delle Trincee in quanto molto scenica e abbordbaile (secondo lui). Quando vediamo i racconti e le foto su internet io e Matte rimaniamo un po perplessi … burroni, strapiombi, muri verticali da arrampicare … la ferrata delle Trincee viene da tutti sconsigliata a chi e’ alla prima ferrata come noi. Troviamo un recente articolo sul Corriere della Sera che ne decanta la bellezza ma una raffica di commenti del pubblico critica il giornalista per non avvertire che la ferrata non è per tutti, ma bisogna essere esperti ed attrezzati. Andrea invece si sente sicuro di portare due principianti. Dice che se “ci conoscesse alpinisticamente” ci porterebbe su percorsi piu’ difficili ma per iniziare la Ferrata delle Trincee va benissimo. “Ok, Andre, se sei sicuro che la possiamo fare ci fidiamo, l’hai gia fatta te no?” “No, mai fatta ma ho chiesto ad un amico” “ … ah beh allora siamo sul sicuro”.
Pochi giorni prima della partenza si aggiunge il quarto componente, il Nonno. Vive in Cina da 10 anni ma si trova a Pordenone in qui giorni. Quando gli faccio vedere il percorso si spaventa un pò … “Ma siete sicuri? I racconti parlano di una cosa per esperti alpinisti? Quante ferrate avete fatto?” “Nessuna Nonno, non ti preoccupare”. “Ah ok, allora direi aventi tutta!”. Il Nonno e’ uno che fa gruppo, che nei momenti difficili ti ricorda come tutto puo’ andare di male in peggio. Il suo cinismo è tale che ti strappa un sorriso anche se stai aggrappato con le unghie a 200 mt nel vuoto.
Andrea organizza la ferrata spalmata in due giorni e decide di percorrerla all’incontrario (tutti la fanno in senso inverso rispetto al nostro). Saliamo dalla pianura in auto, facciamo rifornimento di viveri in un supermercato lungo la strada e verso mezzogiorno attacchiamo il sentiero partendo dal Lago di Fedaia (2,053 mt). In poco raggiungiamo il passo Padon (dove si trova un cannone – attenzione a non farsi ingannare è della Seconda Guerra Mondiale) e a seguire il bivacco Bontadini a 2.550mt verso le 2.30 del pomeriggio. Dopo un panino, lasciamo gli zaini in bivacco e partiamo per una breve escursione sulla cima della Mesola a 2,640 mt da cui si puo’ godere di un magnifico panorama su tutto: Marmolada, Passo Pordoi, Civetta, Arabba a fondo valle, il Col di Lana, il gruppo del Sella. Tra un pò si vede anche il Monte Bianco … In particolare si puo’ ammirare il gruppo del Padon in tutta la sua lunghezza. La ferrata delle trincee corre lungo tutta la sua cresta. Il Nonno guardando le asperità e gli strapiombi della montagna che dovremo affrontare il giorno successivo e ci ricorda il motivo per cui e’ venuto: supporto morale. Ci invita ironicamente a notare come il sentiero sia ben tracciato e facile da percorre su delle montagne “dolci”.
Riscendiamo verso il bivacco dove spendiamo le ultime ore di luce visitando i vari trinceramenti e le gallerie scavate dagli. Milan mostra l’entusiasmo di un bambino quando prende il badile ed inizia a scavare furiosamente alla ricerca di reperti bellici. Si commuove quando trova un proiettile di moschetto ancora inesploso mentre per il resto si deve accontentare di un paio di chiodi arruginiti e qualche pezzo di filo spinato.
Quando il sole comincia a scendere e il vento a farsi piu insistente, ci ritiriamo in bivacco. La baracca consiste di due letti a castello da due posti l’uno, più due panche e un tavolo dove mangiare. Iniziamo con l’aperitivo a base di Teroldego Trentino (un buon rosso comprato da Milan al supermecato ma ovviamente affidato allo zaino di Andrea da portare in spalla), formaggio di latteria, gallette e wurstel crudi. Poi si passa alla cena che Andrea cucina col suo fornelleto da campo. Prima un discreto risotto pronto ai funghi porcini, poi con un piatto ribatezzato “tempesta di wurstel” e che consiste in wurstel cucinati a crudo sopra il fuocherello da campo. Purtroppo, nel fare la spesa, Milan aveva esagerato con la quantità per cui ci troviamo a riempirci di wurstel fino alla nausea. Il dessert a base di cioccolata fondente serve più per levarci il sapore di wurstel dalla bocca. Verso le nove di sera spegnamo le luci e ci arrotoliamo nei sacchi a pelo. Ci sono tra i 5C e i 10C ma sembra di essere a -20C.
La notte trascorre bene (almeno per il sottoscritto) mentre gli altri tre si lamentano di non aver chiuso occhio dormendo sulle panche dure. Ci svegliamo alle 7.30 con il sole che gia illumina il bivacco. Lo spettacolo fuori è mozzafiato. Davanti a noi un mare di nuvole che copre le valli ma lascia sbucare tutte le cime delle Dolomiti.
In meno di un’ora ripuliamo il bivacco e siamo pronti alla partenza. Andrea ci aiuta con una breve lezione su come imbracarci e come usare l’attrezzatura (che senza troppa sintesi suona come “Prendete i moschettoni, agganciatevi al filo e andate). Iniziamo la Ferrata delle Trincee all’imbocco di una lunga galleria scavata dagli alpini. Le torce sono d’obbligo. Usciti dalla galleria ci aspetta il primo tratto di “ferro”, un muretto di neanche due metri che gia manda in panico il Nonno. Dice che durante la notte gli si è gonfiata la caviglia e che non sa se ce la fa. Andrea lo riprende subito e gli dice che non ci si puo’ tirare indietro al primo sasso e che se è venuto fin qua su un tentativo lo deve fare. Il Nonno decide di proseguire.
La prima parte della ferrata procede bene generalmente in cresta. I dislivelli sono minimi e il sentiero è ben segnato. Splende un bel sole e le visuali da entrambe i versanti sono impressionanti. Troviamo un solo passaggio non supportato dal fil di ferro ma è attraversabile senza grossi patemi a patto di non soffrire di vertigini. Per il resto proseguiamo prendendo confidenza con il “ferro” e gli strapiombi.
A metà percorso troviamo i resti di alcuni alloggiamenti militari. Milan si butta subito in esplorazione e trova una pietra incisa in tedesco; segno che qui vi erano gli austriaci. Prima di rimetterci in cammino il Nonno decide di ritirarsi in quanto la caviglia gli duole e non se la sente di forzare in arrampicata sul piede sinistro. Alla fine, imbocca un sentiero per i prati e scende verso valle. La cosa buona della Ferrata delle Trincee è che segue in cresta la catena del Padon ma ad oggi dosso o sella è possibile abbandonarla e scendere per i prati.
Iniziamo la seconda e ultima metà della ferrata. Dopo un breve sentiero inizia il primo tratto in ascensione verticale che si rivela subito molto esposto ed aereo. Devo cominciare a controllare la paura del vuoto. Il sole e’ andato via e lo scuro delle nuvole rende il precipizio sottostante ancora piu’ tetro. Da questo momento in poi la Ferrata delle Trincee diventa, per me, la Ferrata delle Biasteme in quanto ad ogni passaggio parte un’imprecazione. Tirare qualche madonna mi aiuta a scaricare la tensione. Per fortuna Andrea infonde grande tranquillità nei passaggi più difficili. Anche Milan accusa qualche difficoltà ma tira dritto in silenzio. Finito questo tratto arriviamo ad un’ insellatura da cui si inizia l’attacco del Bec De Mesdi. Visto dal basso sembra un campanile di roccia. Per un minuto maturo la decisione di abbandonare ma Milan mi convince a non abbandonare “Dai che siamo alla fine” …. Partiamo all’attacco del Bec di Mesdi. Il tratto è verticale ma presenta comunque buoni appigli.
Decido di concentrarmi solo sui miei passi e non guardare più in giu. Arriviamo in cima devo dire senza troppe difficolta. Poi proseguiamo lungo una cresta che sembra la lama di un gigantesco coltello: giusto qualche centimetro di sentiero e dirupi da ambo i lati. Arriviamo ad un ponte sospeso … cavolo, me l’ero dimenticato. C’è in ogni foto della ferrata. Lo percorro aggrappato a due mani al fil di ferro. Tira un vento che lo fa ballare tutto. Superarlo non mi da gioia perchè so che a breve inizia il terribile muro finale di 30 mt (ma c’e’ chi dice 50 mt – a me, onestamente, sembravano 100 mt). Inizia pure a piovigginare. Il muro finale presenta pochi appigli naturali se non qualche ferro messo li da qualcuno. Andrea ci dice di utilizzare la tecnica che ci ha insegnato nella prima parte, ossia, agrapparsi disperatamente al cavo, culo in fuori e spingere con gli scarponi sulla roccia liscia (tipo come Bruce Willis che scende da una fune dalle vetrate di un grattacielo in Die Hard per intenderci). Devo dire che l’aderenza tiene e i piedi non scivolano. Presa un pò di confidenza con questa tecnica si va giu abbastanza bene. Il problema rimane quando sei appeso per le braccia, hai i piedi senza un buon appoggio che fanno pressione sulla roccia e devi cambiare i moschettoni per superare i fittoni. Ma anche questo ostacolo, con qualche biastema si supera. Alla fine senza rendermene conto tocco “terra” … Milan è ancora qualche metro più in su ma anche lui riesce a finire. Una stretta di mano piena di orgoglio con Andrea sancisce che ce l’abbiamo fatta. Siamo esausti.
Rientriamo verso il lago di Fedaia lungo I sentieri sui prati, ripercorrendo all’indietro lungo il sentiero per i prati tutta la catena del Padon. Rientrando ci attardiamo a percorrere qual che resta di alcune trincee coperte d’erba. Torniamo in religioso silenzio.
Vicino alla macchina troviamo il Nonno con il caviglia gonfia. Non aveva raccontato balle. Rimpacchettiamo tutto perchè ci aspetta un bel panino con salamella e birra sulla via del rientro.
Nota a margine: per ferratisti inesperti o principianti (come noi) consigliamo caldamento l’itinerario all’incontrario descritto sopra in quanto permette di prendere confidernza con le pareti all’inizio ed arrivare al muro finale con un minimo di confidenza.
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