top of page

L'INFERNO DI PONDYCHERRY
Chiediamo informazioni e ci dicono di andare dritti, dritti, dritti fino ad una rotonda con una statua di Gandhi in mezzo. Procediamo nel traffico più indicibile. Nella sera di capodanno del 2007, una fiumana di veicoli di ogni genere, in una strada che ha tre corsie per senso di marcia (standard europeo) che diventano otto secondo gli standard indiani. Centinaia di moto e motorini, carretti trainati a mano o da buoi, furgoncini, autobus, macchine, camion, capre e galline...
Perdiamo il Comandante e Fracasso per ritrovarli qualche chilometro dopo ad un semaforo. Non si fermano, sembra stiano scappando da qualcosa, il Comandante si sporge dal veicolo per guardare dietro preoccupato. Ci urlano solo di seguirli che sanno dov’è il posto, il semaforo diventa verde. In quel momento, dopo quasi due ore di guida notturna in mezzo al traffico di Pondicherry, sento che siamo vicini alla meta, che ce la possiamo fare. Prego solo di riuscire a ripartire. In folle, tengo alti i giri del motore affinché non si spenga. Al verde, mentre gli indiavolati sfrecciano in mezzo al traffico col pepe al culo, ingrano la prima e do gas. Trac!
Ovviamente, morto il motore. Biastema al Signore e preghierina alla Madonna che nessuna corriera dietro ci tamponi. Rimetto in folle, tiro la leva per riaccendere il motore, forse abbiamo perso solo pochi secondi. Niente, non si riavvia. Riprovo più volte. Zero, si è ingolfato. Nella disperazione, in pochi secondi, mi estraneo dal mondo. Non sento più i rumori del traffico. Continuo a tirare quella benedetta leva per non so quante volte con ossessione sapendo che è tutto inutile. Mi sento come un marine americano, accerchiato dai vietcong, quando realizza che tutto e perduto e si mette a scaricare il caricatore della mitragliatrice pesante a caso nella giungla. Per fortuna nessuno ci travolge e il semaforo ritorna rosso. Augustus smonta dal veicolo e lo spingiamo a bordo strada dove un signore mingherlino, sulla quarantina, si offre di riaccendercelo. Io non vorrei, se ce lo riaccende ci chiederà una mancia. E poi seppure piccolino e dalla faccia impaurita, rimango convinto che ci voglia in qualche modo fregare come tutte le persone a questo mondo che si trovano sotto il Po e alla sinistra dell’Isonzo. Tuttavia davanti alla mancanza di prospettive lo lasciamo fare.
Miracolosamente, dopo una decina di tentativi con la leva, rimette in moto il veicolo. Entusiasti gli diamo due pacche sulle spalle ma mentre saliamo a bordo il motore, quell bastardo, muore di nuovo. Ritorniamo dall’omino e questi ci dice che l’unico modo è tentare di accendere il motore in corsa, a spinta. Ergo, voi due, ci fa capire, spingete e io, al volante, lo rimetto in moto. Puzza un po' come proposta, l’idea che ci rubi il tuk-tuk con noi che lo aiutiamo è forte. Di nuovo, la mancanza di alternative ci costringe ad accettare. Io e Augusuts spingiamo per circa una ventina di metri. Al primo segnale di accensione del motore siamo già dentro sul sedile posteriore pronti ad afferrare l’omino per il collo se fa una mossa sospetta. Gli chiediamo se sa dove è il Sunway Hotel e lui scuote la testa alla maniera indiana (una sorta di oscillazione basculante da destra a sinistra, come il nostro modo di dire NO ma senza la torsione del collo).
Vediamo che la città degrada come se dal centro stessimo tornando in campagna. Mi riviene in mente una vecchia storia che aveva raccontato la madre di un amico di quando era a Calcutta col marito tanti anni fa. Saliti in un taxi per l’aeroporto, il tassinaro li aveva portati in mezzo alle viuzze della baraccopoli per poi chiedergli il pagamento di una certa somma di denaro in cambio di riportarli a destinazione, pena l’abbandono in mezzo alla baraccopoli.
Terrorizzato dalla storiella, chiediamo all’omino dove ci sta portando e quello scuote la testa. A quel punto preso dallo sfinimento, indiavolato come un lupo in gabbia gli ringhio nell’orecchio “Fermati e smonta giù dalla macchina, ADESSO!”. Quello impaurito accosta, esce e si allontana dalla macchina. Scendiamo dall’auto senza sapere cosa fare. L’omino ferma un passante e intuiamo che gli sta chiedendo dove si trovi l’albergo. “Il cane nemmeno sapeva dove stava andando!”. Questo infatti gli indica con le braccia di proseguire dritto per poi girare a sinistra. Dopo un po’ che confabulano il signore ci dice in buon inglese la via per l’albergo e ci chiede se siamo disposti a pagare 50 rupie (meno di un euro) all’omino affinché ci porti a destinazione. L’aria affabile del nuovo arrivato ci rassicura un po’ e accettiamo. Pagheremo però solo arrivati sani e salvi a destinazione. Cosa che incredibilmente accade.
Quando vediamo le insegne del Sunway Hotel esplodiamo di gioia... Dopo dieci ore on-the-road e una stanchezza infinita, la soddisfazione è tanta ed è la più bella ricompensa per gli sforzi della giornata. Scesi dalla macchina abbracciamo l’omino, poi saltiamo addosso ad Aravind e Marika che ci guardano divertiti. Poi finalmente ci abbracciamo tra di noi. Pago l’omino 200 rupie invece delle 50 pattuite. Notiamo che solo 6 macchine su 26 sono arrivate prima di noi... e sono le 8 di sera
APPUNTI DI VIAGGIO
INDIAN in TUK-TUK
29 December 2007 - 7 January 2008

An insane endurance rally in Southern India. From Chennai to Kanyakumari, more than 1,200km driving a tuk-tuk. The Challenge, as it has been seen by the 3 Italian teams.
OUR VIDEO
VIDEO FROM OUR FRIENDS (by Konstantin Othmer
1st episode
2nd episode
Ramashwaram to Tuticorin
Thanjavur to Madurai
Pondycherry to Thanjavur
bottom of page